Questo weekend il circus della Formula 1 si dà appuntamento nella terra dei cowboy, il circuito è quello tilkiano di Austin (COTA– Circuit of The Americas).
La storia tra la massima serie e gli States è di quelle tormentate; la Formula 1, infatti, ha dovuto faticare e non poco in un paese in cui la tradizione appartiene a categorie come: NASCAR e Indycar. Pe questo, nel corso degli anni si è cercato più volte di salvare questa manifestazione spostandola di città in città per il continente nordamericano: l’ultima a guadagnarsi l’ospitalità dell’evento è stata la capitale texana.
L’approdo di quella che fu l’antenata della Formula 1 negli Stati Uniti si deve all’imprenditore William Kissam Vanderbilt, che rimasto folgorato dallo spettacolo del Gran Premio delle Ardenne, fonda la Vanderbilt Cup a Long Island. Ben Presto questa competizione acquista un certo prestigio, tanto da essere contesa da numerose città statunitensi e nel giro di poco meno che un decennio la Vanderbilt Cup fa tappa: prima a Savannah in Georgia, poi a Milwaukee nel Wisconsin, ancora a Santa Monica e infine a San Francisco. La gara si stoppa con la scoppio della Grande Guerra, ma ritorna negli anni Trenta: quando il dominio incontrastato di Rosemeyer e Nuvolari fa calare l’entusiasmo iniziale.
Alla fine degli anni Cinquanta il GP degli Stati Uniti diviene ufficialmente una prova del calendario di Formula 1: la prima gara si corre nel 1958 a Riverside in California e a trionfare è l’eroe locale Chuck Daigh che batte Gurney in Ferrari.
L’anno seguente il GP si sposta a Sebring in Florida: dove un giovane Bruce McLaren taglia per primo il traguardo, dando inizio ad una memorabile carriera.
Durante gli anni Sessanta negli Stati Uniti si assiste ad un vero e proprio dominio inglese: 5 piloti, 5 leggende si danno il cambio sul gradino più alto del podio. Il primo è Sir Stirling Moss (1959), poi Innes Ireland (1961), Jim Clark (1962, 1966, 1967), Graham Hill (dal 1963 al 1965) e per ultimo Jackie Stewart (1968).
Intanto il GP continua a viaggiare per il continente nordamericano; dopo un altro tentativo a Riverside, nel ‘61 il paddock si sposta a Watkins Glen (New York) dove rimarrà per vent’anni.
Qui nel 1969 un altro grande festeggia la sua prima vittoria in Formula 1, si tratta di Jochen Rindt; nella stessa gara Hill riporta la frattura di entrambe le gambe in un incidente.
L’anno seguente il GP va a Emerson Fittipaldi e il mondiale costruttori alla Lotus; Colin Chapman è commosso: il titolo piloti postumo andrà a Rindt, deceduto a Monza durante quella stagione.
Nel 1971 la giovane promessa francese Francçois Cevert si prende la sua unica e ultima vittoria in Formula 1, l’anno dopo il destino presenterà il suo conto.
Durante l’edizione del 1972 Cevert rimane vittima di uno degli incidenti più brutali della storia delle corse; nel giorno in cui deve annunciare al mondo il suo ritiro dopo aver fatto la storia, Jackie Stewart assiste alla morte del grande amico.
Nel 1974 Fittipaldi e Regazzoni hanno gli stessi punti in classifica, lo svizzero è costretto a ritirarsi per problemi al motore e il mondiale va per la seconda volta al brasiliano; mentre un anno più tardi Lauda, già con il titolo in tasca, trionfa negli States.
Con la fine degli anni Settanta la pista di Watkins Glen perde il suo splendore: i piloti si lamentano del terreno disconnesso e la mancanza di sicurezza. Così, nei primi anni Ottanta gli Stati Uniti si ritrovano ad ospitare ben 3 gran premi: Watkins, Long Beach e Detroit. Alla fine a vincere è Phoenix: il circus si ferma qui per tre anni e a dominare è la McLaren con Prost (1989) e Senna (’90-91); in particolare, nel 1991 sul secondo gradino sale un certo Jean Alesi…
Il Gran Premio degli Stati Uniti si prende una lunga pausa che dura circa dieci anni: la Formula 1 metterà piede sull’altra sponda dell’Atlantico nel nuovo millennio.
Nel 2000 si corre nel tempio della 500 Miglia, ad inaugurare il gran ritorno è Michael Schumacher su Ferrari che supera così Hakkinen.
Due anni dopo i protagonisti sono i due ferraristi Schumacher e Barrichello, con un finale in volata in cui il brasiliano vince passando il tedesco a ridosso della linea del traguardo.
L’edizione del 2005 vede schierarsi sulla griglia di partenza solo 6 vetture tutte con gomme Bridgestone, dopo che quelle fornite Michelin hanno deciso di non prendere parte al GP; a salire sul gradino più alto è ancora una volta il Kaiser, che farà il bis anche nel 2006.
L’ultimo podio a Indianapolis recita: Hamilton su McLaren-Mercedes, seguito da Alonso e Felipe Massa in Ferrari. Nel 2007, infatti, il circuito dichiara di non poter più ospitare l’appuntamento date le difficoltà economiche nell’affrontare le spese.
In seguito Bernie Ecclestone annuncia un ritorno negli States, inizià così a circolare la voce della possibile costruzione di un circuito nei pressi di Manhattan, ma l’idea rimane sulla carta. Nell’Agosto 2010, invece, il circuito di Austin riceve il via libera e si arriva alla firma di un contratto decennale.
La prima gara al COTA si corre nel 2012: Vettel parte dalla pole, ma ancora una volta Hamilton taglia per primo il traguardo; la Red Bull festeggia comunque il titolo con il tedesco secondo.
L’anno seguente Sebastian Vettel vince, battendo il record di vittorie consecutive: ben otto; secondo Grosjean su Renault.
Gli Stati Uniti, si sa, sono diventati la seconda patria di Lewis Hamilton: l’inglese fa il bis nelle ultime due edizioni, laureandosi campione del mondo per la terza volta.
Pochi giorni, dunque, per scoprire chi scriverà un altra pagina della storia americana…dei motori.
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