Austin. Dall’estremo oriente, all’estremo occidente, la musica è sempre la stessa. In un fortino di Lewis Hamilton, la Mercedes conquista l’iride nei costruttori. L’inglese spegne il lumicino rosso con un successo d’autorità, coccolato e premiato puntualmente da una inarrestabile statistica in suo favore.
In Texas iniziano a chiudersi i giochi iridati 2017, grazie ad un monumentale Lewis Hamilton. Un pilota che dal Belgio è diventato una cima insormontabile finanche per il quattro volte campione del mondo Sebastian Vettel. Una storia a senso unico iniziata dal rientro dalla pausa estiva, un assedio finale che ha scardinato qualsiasi resistenza della Ferrari. Un sogno iridato rosso svanito sotto i costanti colpi sferrati dalla corazzata di Stoccarda. Una squadra letale, feroce, crudele, padrona assoluta di un limite apparso alla portata, rivelatosi soprannaturale per il cavallino rampante.
Lewis e Sebastian, due facce della stessa moneta, lanciata in aria dall’Australia. In volteggio sospeso fino a Monza, fin quando il grigiore Mercedes si è abbattuto con tutta la sua potenza. Una moneta caduta rovinosamente al suolo, con la faccia Vettel rivolta verso il basso. Una figura emblematica, di estrema sintesi, riguardo l’andamento di questo mondiale di F1 2017 che ha sancito una fine anticipata delle ostilità, l’inizio di una agonia Ferrari.
Una irreversibile condizione portatrice di effimere illusioni, di brucianti delusioni, in cui sono del tutto inutili le recriminazioni sulle occasioni perdute, sul mancato cinismo in varie circostanze. Nemmeno il ridurre la sconfitta finale agli inciampi fondo e power unit da sollievo, due questioni rimaste a metà strada tra ingiustizia sportiva e ammissione di colpa a cavallo dell’estate. Fatti evidenti, producenti innegabili effetti di snaturamento concettuale della SF70H, permessi all’apparenza da un assecondamento politico varato dal quartier generale a Maranello.
Inutile considerare quali errori di valutazione tali antefatti, a fronte di un nemico scaltro, pugnalatore alle spalle. Un machiavellico carnefice, troppe volte, graziato a fianco scoperto, fatale in qualsiasi situazione propizia. Un avversario da colpire su tutti i fronti, da studiare con ancor più estenuante scrupolosità, da raggirare, da lasciar incorrere in minimo errore, da azzannare mortalmente nel pieno della sua sicurezza.
L’ultima illusione viene dal GP degli Stati Uniti, dove la Gina pareva faticare in riferimento alla gemella guidata da Kimi Raikkonen. Un anomalo affanno con carico di benzina, una coperta divenuta stranamente corta anche sul piano prestazionale. Un fine stagione misterioso, poco credibile, in cui la SF70H ha mostrato una incostanza inconsueta. Forse, una Ferrari, un Sebastian Vettel, in armistizio da quel famoso proclamo sul podio di Monza. Una vettura laboratorio, perché no. Una ultima specifica di power unit che registra improvvise problematiche di consumo carburante. Un eventuale sacrificio in chiave 2018 per tentare di sorprendere l’invulnerabile Mercedes, naturale mattatrice del tracciato texano, condotta dal Lord di Stevenage.
Hamilton ha raggiunto il suo quarto mondiale in carriera. Ineccepibile sul piano della guida, cresciuto ulteriormente dopo la sconfitta iridata 2016. Un Lewis che ha imparato anche a fare il nuovo Rosberg, dal quale Vettel può e dovrà ripartire per spodestarlo. Pur senza dimenticare che la Mercedes si è garantita, anche con ogni mezzo, la miglior monoposto dell’anno.
The post Formula 1 | GP Stati Uniti 2017: Hamilton, Mercedes, il monopolio continua appeared first on F1world.it.